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All’aumento dell’imposizione fiscale deve corrispondere una proporzionale riduzione dei costi dei pubblici poteri, altrimenti l’economia del bel paese non può risorgere, meno che mai in un tempo ragionevole

lunedì, Dicembre 17th, 2012

Quest’anno, prescindendo dall’imposizione sul reddito professionale, ho dovuto pagare sugli immobili un’IMU superiore del 90 % rispetto all’ICI pagata l’anno scorso ed una tassa automobilistica superiore del 34 % rispetto a quella pagata l’anno scorso, che era già maggiorata dell’addizionale erariale all’epoca introdotta.

Dal punto di vista esclusivamente patrimoniale, quindi, ho subito un aumento dell’imposizione fiscale, nell’arco dell’ultimo anno, mediamente pari al 62 % (90 – 34 = 56 : 2 = 28 + 34 = 62).

Da questi semplici dati è sorto lo spunto per la riflessione che segue.

Non è stata nemmeno ipotizzata dal potere legislativo – e neppure da quello esecutivo centrale – una diminuzione di costi dei pubblici poteri in percentuale corrispondente.

Il potere legislativo, poi, ha scientemente vanificato alcune riduzioni programmate da quello esecutivo centrale, come la riduzione del numero dei parlamentari ed il dimezzamento delle Provincie.

Ma a cosa servono i c.d. “peones” in Parlamento ?

Se la politica, che esercita il potere legislativo, non riesce a ridurre di circa 100 unità i senatori e di circa 200 unità i deputati, come si può credere che possa dimezzare i Presidenti, le Giunte ed i Consigli Provinciali ?

E pensare che a tale auspicabile riduzione conseguirebbe il dimezzamento dei Prefetti, dei Questori, dei Direttori delle Agenzie delle Entrate, dei Comandanti dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dei Vigili del Fuoco, etc., etc., etc..

Il potere giudiziario, dal canto suo, ha recentemente ottenuto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle modeste riduzioni degli emolumenti stipendiali introdotte nel 2010.

I costi per le retribuzioni dei parlamentari, degli amministratori (centrali e periferici) e dei giudici, quindi, non diminuiscono, nonostante la crisi oramai asfissiante.

Tutt’altra sorte ha subito, per esempio, la capacità reddituale dei professionisti, con la drastica riduzione dei compensi derivante dalla parametrazione ministeriale.

Tutti pagano le tasse sul patrimonio, ma l’aumento della relativa imposizione non può prescindere dalla redditività.

Se non c’è reddito non è possibile pagare le tasse, nemmeno quelle sul patrimonio.

La maggior parte dei patrimoni, del resto, si è costituita per successione ereditaria (abbondantemente tassata) o con il ricorso al finanziamento bancario (da restituire con gli interessi).

Ai professionisti, quindi, è stato chiesto un sacrificio enorme.

Le dimensioni di tale sacrificio non possono essere mantenute nel medio periodo, ma si attagliano – realisticamente – soltanto al breve periodo.

Se nel breve periodo i costi dei pubblici poteri non diminuiranno in percentuale corrispondente all’imposizione fiscale sul patrimonio dei cittadini, il sacrificio dei professionisti sarà duraturo e finanche irreversibile, con conseguente mancato accesso o abbandono della professione da parte di coloro che non disporranno di un reddito o di un patrimonio per poter esercitare e, anche, di coloro che non si accontenteranno delle mere soddisfazioni professionali completamente avulse da un adeguato ritorno economico.

Ad ogni due professionisti che non potranno più lavorare, infine, si aggiungerà la perdita di un posto di lavoro dipendente, con buona pace della ripresa economica che i pubblici poteri – date le esperienze maturate – potrebbero non essere proprio in grado di incentivare.

Avv. Michele Costa

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