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Criteri di accertamento della responsabilità penale in presenza della parte civile; presunzione di innocenza e doveri del giudice d’appello dopo l’intervento della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite

domenica, Aprile 27th, 2025

La sentenza in commento si inserisce nell’ormai ricco filone giurisprudenziale che ruota attorno all’art. 578 c.p.p., con particolare riferimento alle conseguenze civili derivanti dalla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione nel giudizio d’appello.

Essa affronta il delicato equilibrio tra tutela della parte civile e garanzie dell’imputato, in un contesto in cui il venir meno della sanzione penale non può tradursi in una rinuncia automatica all’accertamento dei presupposti della responsabilità.

Il ricorso è stato accolto sulla base di una errata applicazione del criterio probatorio da parte della Corte d’appello, che aveva deliberatamente adottato il parametro civilistico del <più probabile che non>, fondandosi – fra l’altro – sulla sentenza della Corte Cost. n. 182/2021. Tuttavia, la Cassazione precisa che tale criterio, pur condivisibile nel merito, non può trovare applicazione automatica se non previo integrale vaglio dell’esistenza o meno delle condizioni per un proscioglimento dell’imputato, anche ai sensi dell’art. 530, co. 2, c.p.p..

La pronuncia ribadisce con forza il principio espresso dalle Sezioni Unite (sent. n. 36208/2024, Calpitano, che conferma Tettamanti del 2009), secondo cui, in presenza della parte civile, il giudice d’appello ha l’obbligo di una <cognizione piena> del compendio probatorio, anche dopo la maturazione della causa estintiva.

Egli non può dunque limitarsi a recepire la prescrizione per poi liquidare i danni sulla base di criteri probabilistici tipici del diritto civile, senza prima scrutinare l’eventuale insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del fatto-reato.

La Corte valorizza l’intersezione tra il principio del giusto processo, la presunzione di non colpevolezza e l’esigenza di non cristallizzare statuizioni civilistiche su basi penali deboli o non sufficientemente verificate.

Un tale approccio, secondo la Suprema Corte, non confligge con quanto affermato dalla Consulta nella sent. n. 182/2021, poiché l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 578 c.p.p. non esclude il potere (anzi: l’obbligo) del giudice d’appello di pronunciarsi sull’assoluzione nel merito, ove possibile, pur in presenza della causa estintiva.

Particolarmente significativo è il passaggio in cui la Cassazione richiama la giurisprudenza civile (in particolare Cass. civ., Sez. III, ord. n. 25805/2024), nel ribadire che il criterio del <più probabile che non> non si esaurisce in una valutazione statistica, ma va inteso come una comparazione tra le diverse ipotesi causali secondo un metro di <probabilità logica>.

Ciò implica che, nel giudizio penale limitato agli effetti civili, il giudice deve verificare concretamente e nel caso specifico la plausibilità della condotta lesiva in relazione all’evento dannoso, evitando generalizzazioni astratte.

La Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, sottolineando che il mancato approfondimento su elementi rilevanti (in primis, il nesso causale e l’elemento soggettivo) costituisce vizio di motivazione che non può essere sanato con la sola constatazione della prescrizione.

Il rinvio si rende necessario non solo per rinnovare l’analisi del fatto alla luce del possibile proscioglimento, ma anche per evitare che la pronuncia di responsabilità civile si basi su un compendio probatorio non idoneo neppure ad escludere dubbi ragionevoli sulla colpevolezza.

La sentenza qui annotata segna un nuovo passo nella definizione del perimetro interpretativo dell’art. 578 c.p.p., rafforzando l’idea che la tutela degli interessi civili non può prescindere dal rispetto delle garanzie proprie del processo penale.

Essa richiama il giudice d’appello ad un esercizio di motivazione completo e coerente, che eviti scorciatoie applicative e garantisca un’adeguata valutazione della prova, del fatto e della persona dell’imputato, nel rispetto del diritto vivente costituzionalmente orientato.

Avv. Amanda Paoletti

Inammissibilità dell’impugnazione dell’ordinanza che esclude la costituzione di parte civile

martedì, Marzo 18th, 2025

I creditori del fallimento, seppure insinuati al passivo, non hanno diritto alla notifica dell’avviso di udienza preliminare, perchè rivestono la qualifica di soggetti meramente ed eventualmente danneggiati.

La persona offesa, infatti, è la massa dei creditori, rappresentata dal Curatore.

Il singolo creditore non può essere rimesso in termini per la costituzione di parte civile, perchè tale diritto è riservato al Curatore, a meno che, sul presupposto della mancanza di costituzione della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 240, comma 2, del Regio decreto 16/03/1942, n. 267, non fornisca la prova della sopportazione in concreto di un danno apprezzabile.

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha confermato che l’ordinanza che esclude la parte civile, in assenza di una specifica previsione normativa e non avendo il provvedimento contenuto decisorio (poiché non pregiudica l’esercizio dell’azione risarcitoria in sede civile), non è autonomamente impugnabile..

Si deve aggiungere che l’ordinanza emanata ex art. 81 c.p.p. può essere impugnata soltanto qualora affetta da abnormità, in quanto caratterizzata da un contenuto di tale assoluta singolarità da porsi in posizione extra-vagante rispetto al sistema ordinamentale ed al diritto positivo.

Si osserva, infine, che non è neppure è consentita l’impugnazione differita insieme con la sentenza sex art. 586, comma 1, c.p.p., perché il soggetto danneggiato, una volta estromesso dal processo, perde la qualità di parte e non è più legittimato ad impugnare l’eventuale sentenza assolutoria dell’imputato, che non contiene alcuna statuizione decisoria che lo riguardi in connessione con il provvedimento dibattimentale di esclusione.

Avv. Amanda Paoletti

Il nuovo parere di congruità dei compensi professionali, nonostante la petizione di principio contenuta nell’art. 7 della legge 21/04/2023, n. 49, non è in grado di acquisire efficacia di titolo esecutivo

sabato, Dicembre 9th, 2023

La legge n. 49 del 2023, fortemente voluta dall’Avvocatura, è stata accolta dalla categoria come una svolta (forse sarebbe meglio dire un segnale forte) per ridare dignità ai professionisti.

L’art. 7, sul parere di congruità come titolo esecutivo (…), al pari dell’art. 12 [abrogante l’art. 2, comma 1, lett. a), del decreto Bersani], dell’art. 5, comma 2 (sulla prescrizione del diritto al compenso), dell’art. 5, comma 3 (sull’aggiornamento biennale dei parametri ministeriali, dell’art. 8 (sulla prescrizione dell’azione di responsabilità) e dell’art. 9 (sull’azione di classe dei Consigli nazionali degli ordini), è stato ritenuto da autorevoli interpreti come una norma di carattere generale, non limitata al circoscritto ambito dell’art. 2 (rapporti professionali con imprese bancarie e assicurative, grandi imprese e Pubblica amministrazione).

Il procedimento amministrativo ex legge 07/08/1990, n. 241, propedeutico per l’emanazione del parere di congruità, è sicuramente da accogliere con favore, anche se, per la dilatazione temporale che lo contraddistingue, meglio si attaglia al pre-contenzioso con i clienti forti.

Il parere di congruità, del resto, non costituisce titolo esecutivo nell’attuale previsione normativa, se non dopo il decorso di 40 giorni dalla relativa notifica, in mancanza di opposizione.

Con i clienti normali, quindi, ed ancora di più con quelli deboli, ci sarebbe da considerare il rischio di dispersione delle garanzie patrimoniali nel lungo tempo attualmente necessario per la formazione del titolo esecutivo.

Sulla basi di tali premesse, il presente intervento mira a segnalare che il parere di congruità, nella normativa attualmente vigente, non è proprio in grado di acquisire efficacia di titolo esecutivo.

Sussiste, innanzi tutto, un problema di notifica, perchè il Consiglio dell’Ordine in concreto richiesto ci ha risposto che non è legittimato a rilasciare copie autentiche.

In secondo luogo, l’indisponibilità delle copie autentiche si ripercuote sulla formazione del titolo esecutivo a cui mira la nuova norma che, però, non può prescindere da quando disposto dagli artt. 474 e 475 c.p.c..

In terzo luogo, l’esecutorietà del parere di congruità, prevista dalla nuova norma in mancanza di opposizione entro 40 giorni dalla notifica, è attualmente impossibile, perchè difetta l’individuazione dell’Autorità deputata alla relativa declaratoria, previa verifica della sussistenza dei necessari presupposti.

Allo stato, quindi, una volta emanato il parere di congruità. non rimane altro da fare che procedere in sede monitoria ex artt. 633 n. 2 e 636 c.p.c., esattamente come accadeva prima della nuova legge, in aperto contrasto con l’intento (probabilmente principale) del Legislatore, che era quello di decongestionare il carico dei Tribunali (e dei Giudici di Pace).

De iure condendo, tanti problemi potrebbero essere risolti dalla previsione della provvisoria esecutività del parere di congruità, all’esito del contraddittorio amministrativo, con salvezza di opposizione giudiziaria.

Non sarebbe male, in ultima analisi, prevedere anche la possibilità di iscrizione di ipoteca in forza del titolo esecutivo come sopra ex novo concepito.

Avv. Michele Costa

Esclusione del vincolo di solidarietà della condanna alle spese del procedimento penale in sede esecutiva

lunedì, Febbraio 20th, 2023

La solidarietà nella condanna al pagamento delle spese processuali è stata abolita dagli artt. 67 e 68 della L. 18 giugno 2009, n. 69, che hanno modificato l’art. 535 c.p.p., abrogando il comma 2, modificato l’art. 205 del D.P.R. 30/05/2002, n. 115 e modificato gli articoli 211 e 212 di tale Testo Unico, al quale sono stati aggiunti gli artt. 227-bis, 227-ter e 227-quater.

La legge detta è entrata in vigore il 4 luglio 2009.

La Corte di Appello di Firenze, adita in sede esecutiva, siccome la sentenza di condanna risultava essere passata in giudicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge detta, ha modificato il dispositivo della sentenza del Tribunale di Grosseto del 2009, sul punto confermata dalla stessa Corte di Appello nel 2012, escludendo la natura solidale, con gli altri coimputati, della condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

La competenza del Giudice penale, in ossequio all’insegnamento della Corte di Cassazione, è limitata a tale statuizione.

La concreta quantificazione delle spese gravanti su ciascun coimputato, infatti, dovrà essere sottoposta al Giudice civile in sede di opposizione all’eventuale esecuzione intrapresa dall’Agente della riscossione.

Avv. Michele Costa

Insufficienza della detenzione di una non trascurabile quantità di sostanza stupefacente, valutata in rapporto agli altri indizi acquisiti, per provare la destinazione allo spaccio

lunedì, Gennaio 13th, 2020

Gli indizi per la colpevolezza dell’imputato erano rappresentati dalla non trascurabile quantità della droga sequestrata, dalle modalità di confezionamento e dalle modalità di occultamento del denaro parimenti sequestrato, ma nelle more restituito.

Il GUP del Tribunale di Grosseto ha rapportato tali indizi con le giustificazioni fornite dalla difesa e, all’esito della discussione nel giudizio abbreviato, ha mandato assolto l’imputato.

Nella motivazione della sentenza si rammenta che la rilevanza della prova indiziaria è rappresentata dalla necessaria presenza di una pluralità di indizi che, come è noto, devono essere gravi, precisi e concordanti.

Su un piano di ordine generale si rileva, che la gravità attiene al grado di convincimento: è grave l’indizio che ha un elevato grado di persuasività, l’indizio consistente, resistente alle obiezioni e, quindi, attendibile e convincente.

Quanto alla precisione, l’indizio preciso è quello non suscettibile di altre e diverse interpretazioni, mentre la concordanza implica che tutti gli indizi in possesso del Giudice convergano verso la medesima conclusione e non si prestino, pertanto, ad interpretazioni tra loro difformi.

Nel caso concreto sussisteva la pluralità degli indizi e la loro gravità, ma difettava la precisione e la concordanza.

Avv. Michele Costa

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